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Stefano Lanuzza
Recensione a "Il modello del mondo"
in Edison Square – Librerie Giubbe Rosse Magazine, anno VIII, n. 76, p. 12

Superano la dozzina e costituiscono un lussureggiante "bosco di memorie" e un unico, luminoso canto libero i libri di versi del mantovano Alberto Cappi che, fin dalla metà degli anni sessanta, include nella sua esperienza di critico militante, antologista, traduttore una ricerca lirica innovativa i cui accenti appaiono tessuti da un 'pensiero poetante' irriducibile alle 'mode' che, nel secondonovecento, hanno connotato (e aduggiato) tanta poesia italiana epigonale. È, quello dell'autore, un percorso inquieto, solitario e senza immediati sodali o 'scuole', avulso dai modelli correnti e più prossimo alla grande tradizione, specie simbolista, delle avanguardie europee: quella che, "movimentando" e rinnovando la lingua, non cessa d'investigare un nuovo senso dell'esistere. Un senso, in questa silloge di segreti e ansie, teso tra i torbidi flussi della storia e il vissuto ora gioioso senza estasi e ora dolorante senza ira d'un soggetto che mitemente misura la propria distanza critica (l'esilio) dalla stessa vicenda storica. In "questo che è esilio" - scrive il poeta - "nessuno nessuno ricorda la storia": nessuno, inoltre, sa le origini, le provenienze, le lontananze, gli abissi, la "polvere di grido” da cui affiora “il dolce stare” d'una parola che, contro le nefandezze dello storiocentrismo ideologico, nomina le cose, le scioglie nella metafora, ausculta i loro echi sublimandone i sottesi enigmi e mettendoli in poesia. Eco flebile di voce sirenica ("lamento di piccola/ sirena"), accento di promesse impossibili eppure appaganti è allora il verso che, talora, si fa umile "bisbiglio/ quasi il ruscello che fiotta al/ polso della notte forse una/ sorte un sospeso canto un atto"... Ancora una volta, soprattutto e per lo più, un 'atto di fede' nei confronti della poesia. L'appassionata, icastica e mai debordante tensione lirico-meditativa di Cappi, fatta di sibilline elegie, ellittiche visioni e cosmologie cifrate, sospensioni tonali e sottili metasensi, è ora confermata da questa nuova opera che, stagliata su "una linea di confine, l'uomo" - l'uomo quale, appunto, "modello del mondo" -, anela a una sorta di gnostica "sete di destino" attendendo trepidante un "visitatore muto" e forse corrucciato: il cui Nome - desiderio infinito e inappagabile, siderea e numinosa entità - continua a restare "appeso per un filo alla finestra/come una marionetta senza voce".